Archiviato a Catania il “caso Mattei”: nessun mistero sulla morte del presidente ENI

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di Salvo Barbagallo

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L’ultima pagina sul “caso Mattei” è stata scritta a Catania, la città dove il “caso” era nato nel lontano ottobre del 1962. A firmare la definitiva sepoltura della vicenda è stato tre giorni addietro (10 luglio) il presidente dei Gip del capoluogo metropolitano etneo Nunzio Sarpietro. I rottami dell'aereo di MatteiLa notizia a firma del giornalista Orazio Provini, è stata pubblicata dal quotidiano La Sicilia. L’inchiesta avviata a Catania avrebbe riguardato alcune registrazioni effettuate a carico del boss Totò Riina, dalle quali sarebbe emerso che quel delitto sarebbe stato organizzato da esponenti della mafia catanese di allora, che avevano ricevuto l’ordine dalla mafia palermitana, per fare una cortesia alle organizzazioni mafiose americane (…). Una ricostruzione “de relato” quindi, che a distanza di tempo e dopo varie e ulteriori verifiche, non ha però avuto conferme e riscontri ulteriori (…).

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Senza ignorare la nostra carenza d’informazione su questo “troncone” del “caso Mattei” passato attraverso la magistratura catanese, in questa circostanza ci limitiamo a riprendere “spezzoni” di articoli pubblicati negli anni dal nostro giornale, proponendoci, ovviamente, un approfondimento sulle fasi di quest’ultima indagine che, a quanto pare, porrebbe la parola “fine” su una storia che di lati oscuri ne ha lasciati tanti.


mattA Catania la preparazione dell’attentato a Mattei

6 dicembre 2011

Era diventato un pericolo per le “grandi Compagnie petrolifere internazionali”

Di Salvo Barbagallo

Nel corso degli anni “La Voce dell’Isola” ha proposto la vicenda oscura della fine di Mattei: ne riparliamo anche in questo numero per l’attualità dell’argomento, per gli avvenimenti che stanno coinvolgendo la Sicilia con la questione degli immigrati provenienti dai Paesi in rivolta e, soprattutto, per la questione “petrolio” che vede e vedrà sempre maggiormente la nostra Isola come territorio di conquista.

L’aeroporto di Catania Fontanarossa “Filippo Eredia”è stato al centro di fatti misteriosi in più circostanze, il’episodio più inquietante quello che riguarda la fine del presidente dell’Eni, Enrico Mattei. È da Catania, infatti, che decolla l’aereo con a bordo l’uomo politico e “imprenditore” dello Stato più discusso e più temuto del dopoguerra.

Bascapè, in provincia di Pavia, a dodici chilometri dall’aeroporto di Milano-Linate, 27 ottobre 1962: è sabato e nella pianura cade insistente la pioggia. Poco prima delle ore 19 un contadino (Mario Ronchi, 41 anni) cena all’interno del suo cascinale di Londriano quando sente un “rumore fortissimo”. Si affaccia a guardare fuori: «Ci sono rimasto con una paura tremenda. Il cielo era rosso e bruciava come un grande falò, e le fiammelle scendevano tutt’intorno. Sulle prime ho pensato ad un incendio, poi ho capito che doveva trattarsi di un aeroplano. Si era incendiato e i pezzi stavano cadendo sui prati, sotto l’acqua…».

Ciò che aveva visto il contadino è stata la conseguenza di una esplosione, quella di un aereo: il “Morane Saulnier”, sigla “I Snap”dell’Eni con a bordo il presidente dell’ente Enrico Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William Mac Hale, capo della redazione romana di “Time”e “Life”.

Il velivolo, un bireattore executive, era esploso in volo a pochi chilometri dall’aeroporto di Linate, dove doveva atterrare. L’aereo di Mattei era precipitato a pezzi in un campo dietro un filare di pioppi, a pochi metri da una roggia, scavando una buca enorme dove a malapena si intravedeva uno spezzone di coda del velivolo. Intorno, i rottami sparsi in mille pezzi, frammisti a brandelli di carne, per un raggio di trecento metri.

Il velivolo della flotta privata dell’Eni era decollato dall’aeroporto di Catania Fontanarossa, diretto a Milano, alle 16,57. Mattei aveva trascorso l’ultima mattinata della sua vita a Gagliano Castelferrato, fra festeggiamenti, discorsi e molte speranze: a poca distanza dal paese era stato trovato il metano e con il metano erano nate le polemiche e le speculazioni. II paese era in agitazione, così come gli ambienti qualificati dell’Isola. Mattei, quel giorno, si è recato appositamente a Gagliano perché vuole calmare le acque, vuol tranquillizzare la piccola comunità. Questo è quanto hanno sostenuto “dopo”le fonti ufficiali sull’improvviso viaggio del presidente dell’Eni in Sicilia, ma, probabilmente – e le ipotesi sono svariate – i reali motivi consistevano in una serie di incontri con personaggi isolani e forse stranieri.

Mattei, quel 27 ottobre del 1962, tiene un discorso dal balcone del Circolo degli Operai, che dà sulla piazza principale del paese. Parla, in quella circostanza, anche il presidente della Regione, D’Angelo, e le sue parole assumono il tono della profezia: «Mattei – dice – porta un carico sulle spalle di tanta responsabilità, di tanto impegno, che non gli consente mai di dormire sonni tranquilli. Questo è un uomo che ha mezzo mondo contro di sé, e deve stare molto attento. Noi possiamo sbagliare e rimediare. Lui se sbaglia una volta è perduto per sempre».

Mattei era stato in Sicilia alcuni giorni prima, e quel viaggio appare, nelle sue connotazioni, ben strano per un uomo occupato in affari internazionali che richiedevano sempre la sua presenza fisica.

Perché avrebbero dovuto uccidere Mattei, e chi era quest’uomo che era diventato un pericolo per le “grandi Compagnie petrolifere internazionali”?

Numerose le pubblicazioni e gli articoli su quotidiani e riviste, nazionali ed esteri, hanno cercato di dare risposte a questi due – apparentemente semplici – interrogativi, ma senza pervenire a spiegazioni definitive. Quel che sembra assodato, e pur tuttavia mai provato, è che la preparazione dell’attentato a Enrico Mattei (il sabotaggio, cioè, dell’aereo), avvenne mentre il “Morane Saulnier”era posteggiato in un’area prospiciente la piccola aerostazione di Fontanarossa.


matt1L’oro nero domina i destini del mondo

La dittatura del petrolio e delle lobby affaristiche internazionali

Dal Caso Mattei alle recenti rivolte in nord Africa, nei decenni un solo filo conduttore: il predominio dei territori ricchi di giacimenti della preziosa fonte energetica. L’Italia e la Sicilia snodi vitali per il controllo dell’area euromediterranea

I libri sui “misteri” d’Italia (e non solo), possono cambiare qualcosa? Siamo convinti di no, ma sicuramente costituiscono un forte contributo alla conoscenza, costituiscono quell’informazione che proviene dai mass media che il lettore non riceve (o non recepisce) nel modo giusto. I “misteri” restano tali perché c’è sempre qualcuno che tiene ben celate le fonti documentali e perché, nella migliore delle ipotesi, chi si addentra nel labirinto dei fatti oscuri che hanno costellato l’Italia dal dopoguerra ad oggi, può riuscire a raccogliere testimonianze non definitive, o riesce soltanto a ricostruire gli avvenimenti basandosi su tesi (vere o errate) non sorrette da elementi veramente probanti. Questi libri ci sono, sono stati scritti, magari con grande fatica nella ricerca, sono stati dati alla stampa, ma, in quanto definiti “pericolosi”, sono stati tolti dalla circolazione. Sono libri che parlavano delle trame occulte che hanno attraversato negli anni l’Italia, di “storie” che hanno determinato il cammino politico e sociale del nostro Paese. Pochi si chiedono il perché questi libri vengono ritirati dal mercato, o perché scompaiono appena pubblicati, o perché non hanno già all’origine una diffusione nazionale adeguata.

Tanti sono i libri che hanno descritto parte dei “misteri” d’Italia e della Sicilia, nel tempo sono scomparsi: libri scomodi, “pericolosi” per il loro contenuto, perché forse scoprivano scenari oscuri sulle vicende italiane o sui rapporti internazionali intrattenuti dai governi o da singoli politici del nostro Paese. Uno di questi libri è ritornato alle stampe poco tempo addietro ma, come in precedenza, c’è scarsa traccia nelle librerie. E’ un volume edito per la prima volta nel 1972 dall’AMI (Agenzia Milano Informazioni) dal titolo “Questo è Cefis”, di Giorgio Steimetz, pseudonimo di Corrado Ragozzino, ristampato da Giovanni Giovannetti, editore di “Effigie”. L’Agenzia Milano Informazioni era una casa editrice finanziata da Graziano Verzotto, uomo di fiducia di Enrico Mattei, che lo pose alla presidenza dell’Ente minerario Siciliano ai tempi del Governo di Silvio Milazzo. “Questo è Cefis” è una biografia non autorizzata di Eugenio Cefis, che fu consigliere dell’Agip, presidente dell’Eni e poi della Montedison. Cefis viene descritto da Giorgio Steimetz come uno spietato uomo di potere, pronto a tutto, sospettato di essere implicato nella morte di Enrico Mattei (presidente dell’Eni fino alla sua morte, e sostituito dallo stesso Cefis) e le cui ombre giungono fino a uno degli omicidi più misteriosi della letteratura e della nostra storia recente, quello di Pier Paolo Pasolini. Pasolini, che quando venne ucciso sul litorale di Ostia, il 2 novembre 1975, stava completando il libro “Petrolio”, in seguito pubblicato incompiuto da Einaudi nel 1992. Una delle fonti di quel romanzo, in cui pare che Pasolini avesse delle rivelazioni sul caso Mattei, era proprio il volume di Steimetz, ma il capitolo “Lampi sull’Eni”, venne misteriosamente sottratto dalle carte dello scrittore. Le morti senza risposta di Mattei, quella del giornalista Mauro De Mauro, e quella di Pier Paolo Pasolini, vengono riprese anche in un recente libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Pizza, “Profondo nero” (Chiarelettere editore), dove il filo conduttore è il petrolio. E parlare di Petrolio oggi significa andare a scavare nelle rivolte che stanno infiammando i Paesi rivieraschi del Mediterraneo, dalla Tunisia all’Egitto, alla Libia; parlare di petrolio significa anche capire cosa sta succedendo in una Sicilia che viene perforata alla ricerca dell’oro nero dalla grandi Compagnie petrolifere internazionali; parlare di petrolio significa andare a scoprire le radici delle penetrazioni “coloniali” in questi luoghi dove i misteri sono rimasti insoluti. A partire dalla fine di Enrico Mattei che proprio dalla Sicilia spiccò il suo ultimo volo.


matt3L’invadenza dell’Eni non era certo gradita

Mattei veniva considerato dagli americani sempre più un uomo molto pericoloso 

Era il marzo del 1957. Agli americani l’invadenza dell’Eni non era certo gradita: Mattei si era trasformato sempre più in un uomo estremamente pericoloso. L’accordo con la Libia non passa a seguito delle pressioni americane. Mattei si lancia all’attacco: nel 1960 conclude con la Tunisia un accordo per la definizione della costruzione e della gestione di una raffineria e per un permesso di ricerca, sempre nel Sahara. Stipula accordi anche con altri Paesi africani, dalla Somalia alla Nigeria, dal Marocco al Ghana, al Kenia, all’Uganda. L’Eni cresce smisuratamente e, pur essendo azienda di Stato, chiude bilanci con utili diretti e netti (quello derivante dalla differenza fra il prezzo di produzione e il prezzo politico di vendita) calcolati in oltre quaranta miliardi annui, molti dei quali reinvestiti.

Per Mattei, comunque, c’è sempre la necessità di trovare nuovo greggio ed al prezzo più basso. L’opportunità gli viene offerta dall’Unione Sovietica, con la quale raggiunge un accordo sostanzioso che segnala la definitiva rottura tra Eni e le Compagnie americane. Mattei si trova, pertanto, con Francia, America e cartello petrolifero alle costole; non a caso un americano appartenente alle alte sfere di una delle massime Compagnie petrolifere, il 12 settembre del 1960 a Piacenza, in occasione dell’VIII Congresso dei petroli, affermerà che «non riusciva a capire come mai nessuno avesse ancora trovato il modo di fare uccidere Mattei».

In quei giorni i quotidiani francesi accusano apertamente il presidente dell’Eni di finanziare e fornire armi ai guerriglieri del Fronte Nazionale di Liberazione algerino.

Alla fine del 1995, dopo 33 anni d’indagini e d’inchieste pubbliche che non avevano prodotto alcun risultato, grazie alla perizia ordinata dalla Procura di Pavia, sarà accertato che l’aereo di Mattei è esploso in volo “a causa di una carica di cento grammi di Compound B (potente e dirompente esplosivo) posta dietro il cruscotto dell’aeromobile, collegata con il congegno d’apertura del carrello, in modo da esplodere poco prima dell’atterraggio”. Questa carica di esplosivo sarebbe stata posta sul velivolo durante la sosta a Catania.

Dopo le minacce ricevute, e tenuto conto dei pericoli che correva, Mattei aveva rafforzato le sue misure di sicurezza affidando il delicato servizio “personale”ad un uomo di sua fiducia, l’ex partigiano Rino Pacchetti, medaglia d’oro della Resistenza, suo antico compagno nella lotta clandestina. Ebbene, alla vigilia dell’ultimo viaggio in Sicilia di Mattei a Pacchetti viene revocato l’incarico con l’ordine di sospendere ogni sorveglianza, che sarebbe rimasta affidata solo agli uomini dei servizi segreti delle Forze armate, agli uomini del Sifar. Un caso identico a quello già verificatosi nella primavera precedente, quando al motorista di fiducia del pilota Irnenio Bertuzzi, Erminio Loretti, venne revocato l’incarico del controllo del “Morane Saulnier”e trasferito in altra sede. Erminio Loretti e il figlio Marino periranno in un incidente aereo, a bordo di un “De Havilland”di loro proprietà, il 12 agosto del 1969.

Per il giudice Calia anche gli avvenimenti che precedettero il sabotaggio del velivolo dell’Eni a Catania e le susseguenti morti sono collegate al caso: c’era chi aveva progettato la fine di Mattei in tutti i particolari senza trascurare nulla.

Quanto si verificò all’aeroporto di Fontanarossa è ancora avvolto nel mistero, nonostante che il quadro complessivo appaia chiaro. Gli avvenimenti di quel 27 ottobre del 1962 a Fontanarossa, probabilmente, cambiarono le sorti dell’Italia politica ed industriale.

A distanza di decenni il “Caso Mattei” potrebbe apparire come un thriller che non lascia risposte, se non alla immaginazione di chi vorrebbe veder risolto il “mistero” della fine del presidente dell’Eni, circondata da tante morti o scomparse di personaggi (come quella del giornalista Mauro De Mauro, che di Mattei si stava occupando) che non hanno avuto spiegazioni. A riattivare l’attenzione, a nostro avviso, basterebbe riflettere su quanto sta accadendo nelle terre del petrolio (dalla Libia, all’Egitto, alla Tunisia, eccetera), e notare come alla base (elemento, però, che non appare e non si fa apparire, se non per le ripercussioni che hanno le rivolte sul mercato internazionale) ci stia sempre “l’oro nero”. Quello stesso “oro nero” che le grandi Compagnie petrolifere internazionali stanno cercando in Sicilia e nelle acque dell’Isola. Quello stesso “oro nero” che aveva improntato la vita di Enrico Mattei e di quanti, ancora oggi, vogliono arricchirsi sfruttando le risorse altrui. Riuscire a scoprire i meccanismi dell’attentato al presidente dell’Eni, significherebbe scoprire esecutori e mandanti. Ma appare chiaro che gli interessi che hanno coperto quel tragico “incidente” di Bescapè sono ancora adesso enormi, tanti da lasciare la questione nell’oblio dei libri che possono essere pubblicati.

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